Capitolo 1.2 Lou X e Uniti contro la guerra


RapPresaglia di Lou X, il cui vero nome è Luigi Martelli (classe 1972) rapper pescarese della primissima ora è un demo tape autoprodotto del 1991. Copertina fotocopiata in bianco e nero, la A cerchiata di Anarchia nel logo; otto brani i cui titoli rappresentano bene il background ideologico di questo primo rap italiano delle posse: lato A Figlio di…, Guerra in città, Italia, Fotti la pula; lato B Spara palestinese…, Inglobati, Potere al popolo, Malcom X. Siamo dentro al tipico linguaggio della scena punk hardcore italiana del decennio precedente ma quello di Lou X è rap, qualcosa di assolutamente nuovo e originale in Italia. I testi e soprattutto le rime sono lì a testimoniarlo.

Lou X:
Che sono un bandito non è una scoperta.
Con il fucile sto sempre all’erta.
Il grilletto ruggisce, ne sono capace: il solo rumore, lo sparo mi piace.
Io sono Lou X, figlio di puttana.
Punto il fucile. Caccia la grana.
Non rompermi il cazzo, avanti chi vuole: gli ficco nel culo il mitragliatore.
Questa è una guerra per me un gioco.
Pronti a puntare e poi a fare fuoco.
Se c’è qualcuno che ti fotte la vita.
Spara cattivo e sarà finita.
Perché pensi troppo ?
Ti fermi alla mente, trasforma l’idea in lotta opponente!
La strada è una merda ma io puzzo di più.
Mi dici criminale ma lo sei anche tu.
La pula nel culo non dico cazzate: non metterti contro le mie pistolate.
Nessuno mi frega, sicuro fratello.
Io al mio nemico gli taglio l’uccello.
Io sono un bastardo e piscio veleno, alla violenza non faccio da freno.
Ti apro il cervello ci infilo la bocca, con queste parole la mente si spacca.
Comincio a pensare.
Minaccia sicura.
La gente che pensa mette paura.
Ma ascoltami bene la rabbia è perché questa situazione non parte da me.
Opprimi le gioie esalta il dolore.
Lo sguardo lontano, i tagli nel cuore.
Questa è una missione e fra qualche giorno all’inferno io farò ritorno.
Io sono Lou X, e sono un figlio di puttana…[1]

Privo di uno schema metrico certo; fondato su continui riferimenti alla lotta armata e con un andamento da filastrocca, questo rap rabbioso e senza fronzoli dovrebbe in qualche modo emulare lo stile dei Public Enemy ma finisce per assomigliare alla parodia di una lettera di rivendicazione delle BR. La carica eversiva priva di un vero e proprio stile diventa ingenua, scurrile e perfino imbarazzante.




Altro esempio di quel modo di fare rap delle posse era quello di prendere spunto dalla realtà contemporanea. La guerra che gli Stati Uniti avevano lanciato a Saddam Hussein (e che si concluderà  troppi anni dopo) è il motivo che riunisce molti dei rappresentanti delle posse nel progetto Uniti contro la guerra, progetto fondato sul nucleo dell’Onda Rossa Posse\Assalti Frontali. Il demo tape anch’esso uscito nel 1991 si presenta con la dicitura hip hop ragamuffin sulla copertina e vede citati tra i protagonisti principali quel Don Rico, il cui vero nome è Federico Vaglio che fonderà i celebri Sud Sound System, chiara testimonianza dell’iniziale legame  tra rap e ragamuffin (a dir la verità lo stesso equivoco che metteva in atto Jovanotti yankee rastafari a Domenica In nel 1988.)
Baghdad 1.9.9.1. ben confezionato e con i testi inclusi, rappresenta un chiaro segnale di come anche l’underground fosse in grado di sfornare prodotti realizzati dignitosamente. Quattro brani (anche se in realtà sono solo due:) lato A Baghdad 1.9.91., Baghdad 1.9.91. (anti media,) lato B Macabra Danza (raptus,) Baghdad 1.9.91.
        L’attacco di Militant A in Baghdad 1.9.91. non è privo di fascino ma non è rap. Descrive con rapide pennellate uno scenario di guerra, che poi è quello che è rimasto nell’immaginario collettivo comune: lo strapotere tecnologico americano che porta morte e distruzione nel silenzio della  notte, con bombardamenti aerei, visori a raggi infrarossi e i tristemente famosi missili intelligenti.

Militant A:
Orribile notte.
La bandiera a stelle e strisce è in volo.
Ha i colori della morte.
Nella notte senza luna è il suo rumore…
Senza più nessuna esitazione.
Per colpire e non vedere nient’altro che se stessa.
Scoperta nel deserto la bandiera della guerra su Baghdad 1.9.91.

Con la strofa di Castro X le cose peggiorano decisamente.

Castro X:
Basta basta bastardi!
Mi chiamo Castro X, ti odio stronzo yankee.
Fermo yankee, filantropo del mondo ma tu menti.
Un grappolo di infami nei governi.
Fermi yankee!
Mettete giù le mani folli immondi!
Basta basta bastardi! hai visto…
Montecitorio attento a dove metti i piedi.
Laido Ferrara, gobbi infami, brutti stronzi.
Fermi basta basta bastardi!
Quando dite guerra al mondo col sorriso state attenti!

Più che di un testo rap sembra si tratti di slogan urlati ad una manifestazione. Slogan legittimi ma del tutto privi di quello spirito che sta alla base dell’hip hop e che considera lo stile una parte integrante della cultura che si intende diffondere. Se il giudizio di molti rappresentanti dell’hip hop del tempo riguardo a quel periodo è particolarmente negativo, non è nei confronti dei contenuti (più o meno condivisibili ma che in un certo senso garantivano una certa peculiarità alla scena;) è un problema di stile. Un problema (in soldoni) di tipo stilistico letterario.

Considerando poi la faccenda di quello che era prodotto oltreoceano nello stesso periodo in cui esce Uniti contro la guerra, ci rendiamo conto di che abisso separasse l’hip hop italiano delle posse da quello americano. Nel 1991 per esempio esce We can’t be stopped, probabilmente il capitolo migliore dei Geto Boys di Huston Texas e pietra miliare del gangsta rap insieme a Efilrofzaggin’ degli NWA e Amerikka’s most wanted di Ice Cube. Dischi molto evoluti e decisamente ricchi di funk. Ascoltandoli  ci rendiamo facilmente conto di come un certo tipo di rap (intendo quello delle posse) fosse assolutamente fuori tempo massimo. Inoltre, come nota Next One, uno dei pionieri del breaking e in generale dell’hip hop in Italia, nel libro di Damir Ivic, ciò che manca in questi rappers è il senso del flow e un’estetica della parola.[2]
Tutto questo non deve sminuire l’importanza e la portata storica di quello che è stato effettivamente un vero e proprio movimento. Poi sia chiaro, quando parliamo di un movimento, dobbiamo sempre rapportarci alle dimensioni reali di cosa si trattava effettivamente: un gruppo di adolescenti che cementificava le proprie personalità attraverso rituali collettivi, con gli evidenti limiti di un regime in scarsezza di mezzi. E’ per esempio abbastanza commovente e spiazzante guardare oggi il video originale di Stop Al panico su YouTube. La sensazione è di osservare un vecchio filmino amatoriale, girato da giovani universitari goffi e brufolosi che sparano proclami nell’indifferenza della gente in centro a Bologna. Con le moderne tecnologie di montaggio video e l’elaborazione che siamo riusciti a realizzare, il video ‘casalingo’ degli Isola Posse All Star sembra far parte di un passato lontanissimo che quasi non esiste più. Paradossalmente se quella era la condizione triste e contraria a quella odierna, il risultato è che c’era molta più comunicazione e coesione illo tempore. Il che ci fa riflettere su quanto l’informazione di per sé non sia utile ad un processo evolutivo personale e collettivo. Infatti, sebbene l’unico modo per far circolare la propria musica fosse affidarsi all’audiocassetta, il modo migliore per certificare la propria adesione era essere presenti alle jam e ai party, il che faceva ancora valere il principio che la migliore presenza era la partecipazione, rispetto ad oggi che, nell’era della Rete, la partecipazione rientra nella categoria degli eventi (ovvero è rara.)




[1] Tratto da Figlio di… Rappresaglia  1991 demotape autoproduzione.
[2] Vedi Damir Ivic Storia ragionata dell’hip hop italiano, op. cit. p. 60